Quesito in tema di mandati di gestione a seguito della Brexit

Categoria: 
Gestione del fondo
Gestione delle risorse
Data: 
Luglio, 2020

(lettera inviata a due Associazioni)

Si fa seguito alle note del … e del … con le quali codeste Associazioni hanno formulato alcune richieste di chiarimenti in materia di mandati di gestione, a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (c.d. Brexit).

In particolare, con le note sopra indicate è stata rappresentata l’opportunità che i fondi pensione possano continuare a beneficiare della professionalità e delle conoscenze degli intermediari stabiliti in alcuni paesi non appartenenti all’Unione europea, come il Regno Unito, e di evitare che la Brexit generi un blocco delle convenzioni di gestione che prevedono un coinvolgimento di intermediari stabiliti nel Regno Unito.

In merito alla Brexit, si ricorda preliminarmente che il Decreto legge 25 marzo 2019, n. 22 recava talune previsioni, di interesse anche per i fondi pensione, circa l’ipotesi di un no-deal Brexit (uscita senza accordo). Le misure transitorie individuate dal sopra citato Decreto legge non hanno, tuttavia, trovato mai applicazione dal momento che dal 1° febbraio 2020 il Regno Unito è uscito dall’Unione europea per effetto dell’accordo di recesso, ratificato il 30 gennaio scorso.

In forza dell’accordo è stato istituito un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020, durante il quale la normativa europea continuerà ad applicarsi nel Regno Unito e al Regno Unito come se quest’ultimo fosse ancora uno Stato membro, pur cessando la partecipazione e la rappresentanza britannica nelle istituzioni europee.

Al riguardo, con Comunicato del Ministero dell’economia e delle finanze n. 19 del 31 gennaio 2020 è stato chiarito che per i servizi bancari, finanziari e assicurativi, è da intendersi prorogato di diritto l’attuale regime di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni e del sistema di vigilanza, così come è assicurata la continuità operativa e dei rapporti tra infrastrutture dei mercati finanziari, intermediari e clienti da e verso il Regno Unito, nonché la tutela di depositanti e investitori. Conseguentemente, per tutto il periodo transitorio, nulla cambia per i gestori del Regno Unito.

Non essendo stata adottata, entro il 30 giugno u.s., una decisione di possibile proroga del periodo di transizione, tale periodo avrà termine il prossimo 31 dicembre. Il periodo transitorio ha lo scopo di consentire la stipula di un accordo sulle future relazioni tra Unione europea e Regno Unito.

 

Al termine del periodo di transizione, se nel frattempo non saranno stati raggiunti accordi differenti tra l’Unione europea e il Regno Unito, agli enti del Regno Unito che dovessero operare nel territorio dell’Unione e, quindi, anche in Italia, si applicherà la normativa relativa ai soggetti di paesi terzi.

Considerato l’approssimarsi della fine del periodo transitorio, codeste Associazioni hanno formulato alcune possibili soluzioni interpretative della vigente normativa aventi per oggetto:

a)     l’ambito dei soggetti che possono svolgere l’incarico di gestori delle risorse dei fondi pensione;

b)     l’ambito dei soggetti che possono ricevere deleghe di gestione da parte dei gestori delle risorse dei fondi pensione.

Circa il primo profilo viene chiesto di confermare che i fondi pensione possono affidare un mandato di gestione, ai sensi della lettera a), dell’art. 6, comma 1, del Decreto lgs. 252/2005, anche a soggetti che hanno la loro sede al di fuori dell’Unione europea, qualora autorizzati a prestare il servizio di gestione di portafogli in Italia.

Il quesito è posto avendo prioritariamente a riferimento le imprese del Regno Unito, ma può interessare anche imprese di altri paesi terzi che venissero a trovarsi nelle medesime condizioni contemplate dalla normativa dell’Unione europea ovvero nazionale.

Quanto alla normativa dell’Unione europea, vengono qui in rilievo gli artt. 46, 47 e 48 del regolamento (UE) n. 600/2014 (c.d. MiFIR), ai sensi dei quali un’impresa di un paese terzo può fornire servizi di investimento o svolgere attività di investimento alle controparti qualificate e ai clienti professionali, elencati nella direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID), situati nell’Unione senza avervi stabilito una succursale se è registrata nel registro delle imprese di paesi terzi tenuto dall’ESMA, in base all’articolo 47. L’avvenuta registrazione comporta la possibilità di operare su tutto il territorio dell’Unione, quindi anche in Italia, sotto la vigilanza della competente autorità del paese di origine.

Tale registrazione è, comunque, subordinata a varie condizioni, tra cui l’avvenuta adozione da parte della Commissione europea di una decisione di equivalenza in relazione al paese terzo per attestare che il regime giuridico e di vigilanza del paese terzo garantisce che le imprese autorizzate nello stesso si conformino a requisiti giuridicamente vincolanti in materia di norme di comportamento e prudenziali che hanno un effetto equivalente ai requisiti enunciati nella normativa UE.

In assenza del giudizio di equivalenza da parte della CE (o qualora questo giudizio non sia più vigente), è poi rimessa a ciascuno Stato membro la facoltà di consentire all’impresa non UE di operare sul proprio territorio, anche senza stabilimento di succursali. Ciò risulta regolato dall’art. 28, comma 6, del TUF, il quale consente – in mancanza di una decisione della Commissione europea a norma dell’articolo 47, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014 oppure ove tale decisione non sia più vigente – alle imprese di paesi terzi, diverse dalle banche, di prestare servizi e attività di investimento a controparti qualificate o a clienti professionali, anche senza stabilimento di succursali nel territorio della Repubblica, qualora le stesse siano autorizzate dalla Consob, sentita la Banca d’Italia.

Ciò precisato, alla luce del vigente quadro normativo, si ritiene di poter confermare che un soggetto di un paese terzo a ciò autorizzato in base alle norme sopra richiamate, in quanto registrato nel registro ESMA ovvero in quanto autorizzato dalla Consob, rientra nel novero dei “soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di cui all’articolo 1, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58” citati dall’articolo 6, comma 1, lettera a), del Decreto lgs. 252/2005, ai quali può essere affidata la gestione delle risorse dei fondi pensione.

 

Tali soggetti possono, pertanto, assumere l’incarico di gestori delle risorse dei fondi pensione; parimenti possono, ove consentito dal fondo pensione, essere agli stessi affidate dal gestore deleghe gestionali.

Un’altra questione sollevata da codeste Associazioni riguarda la possibilità, per il gestore, di affidare, in termini generali e fuori dall’ipotesi di cui sopra, a imprese di paesi terzi una delega di gestione.

Al riguardo, si fa presente che la normativa primaria, sia sotto il Decreto lgs. 124/1993 sia sotto il Decreto lgs. 252/2005, non ha regolato il profilo delle deleghe di gestione, limitandosi a disciplinare quali sono i soggetti con i quali i fondi pensione possono convenzionarsi.

Alcune indicazioni in merito alle deleghe di gestione sono state a suo tempo date dalla COVIP, in relazione ai fondi pensione negoziali, nello Schema di convenzione per la gestione delle risorse dei fondi pensione in regime di contribuzione definita, approvato dalla COVIP con deliberazione del 7 gennaio 1998, nelle Istruzioni per il processo di selezione dei gestori delle risorse dei fondi pensione, approvato con deliberazione COVIP del 9 dicembre 1999 e in una risposta a quesito di novembre 2008. La linea sin qui seguita è che il soggetto delegato debba possedere i medesimi requisiti previsti dalla normativa primaria per il gestore principale.

Tale principio, relativo alle deleghe di gestione effettuate dal gestore principale dei fondi pensione negoziali e preesistenti, è stato seguito anche con riguardo al conferimento, da parte delle società istitutrici di fondi pensione aperti, dell’esecuzione di specifici incarichi di gestione ad altri soggetti. L’art. 7, comma 3, dello Schema di Regolamento dei fondi pensione aperti prevede, infatti, che le società istitutrici di fondi pensione aperti possono affidare l’esecuzione di specifici mandati di gestione a soggetti di cui all’art. 6, comma 1, del Decreto lgs. 252/2005.

In merito a quanto sopra, codeste Associazioni chiedono di rivedere tale approccio tenendo conto in particolar modo dell’evoluzione, nel frattempo intervenuta, della normativa europea in materia di delega di funzioni a intermediari di paesi terzi. Nella nota è fatto specifico riferimento alla legislazione europea nel settore dei servizi di investimento e della gestione collettiva del risparmio ed è richiamato quanto, rispettivamente, previsto dall’art. 32 del regolamento delegato (UE) 2017/565, del 25 aprile 2016 e dall’art. 78 del regolamento delegato (UE) 231/2013, del 19 dicembre 2012.

Al riguardo, si osserva che gli articoli di cui sopra, in combinato disposto con le previsioni delle rispettive direttive di riferimento (la direttiva 2014/65/UE, da un lato, e la direttiva 2011/61/UE, dall’altro), stabiliscono le condizioni al ricorrere delle quali è possibile delegare la gestione degli investimenti e dei portafogli anche a soggetti di paesi terzi. Tratti comuni delle due normative sono che la delega è consentita se l’intermediario del paese terzo è autorizzato o registrato nel suo paese di origine e vi sono accordi di collaborazione tra le Autorità di vigilanza dell’intermediario delegante e l’Autorità di vigilanza dell’intermediario delegato.

Si ha, inoltre, presente che le succitate normative precisano che la delega non fa venire meno la responsabilità del delegante. Ciò risulta ribadito anche nel Provvedimento della Banca d’Italia del 5 dicembre 2019, recante attuazione degli articoli 4-undecies e 6, comma 1, lettere b) e c-bis), del TUF, il cui art. 18, comma 2, precisa che l’esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti non deve ridurre l’efficacia del sistema dei controlli né impedire alla Banca d’Italia e alla Consob di controllare che gli intermediari adempiano a tutti i loro obblighi.

Alla luce della normativa dell’Unione europea sopravvenuta, si esprime pertanto l’avviso che sia da ritenersi adesso ammissibile che i gestori delle risorse dei fondi pensione, negoziali, preesistenti e aperti, deleghino attività loro proprie anche a soggetti di paesi terzi, come il Regno Unito. Ciò, peraltro, limitatamente a quegli ambiti in cui, come quelli sopra richiamati, vi sia una puntuale definizione a livello europeo delle condizioni e requisiti di tale delega e tali condizioni siano nel caso concreto rispettate.

Resta ovviamente di competenza del fondo pensione (e della società che gestisce il fondo pensione aperto) ogni valutazione in merito all’opportunità di prevedere siffatte deleghe.

La possibilità di delegare a soggetti di paesi terzi, ove voluta, deve essere comunque espressamente prevista nella convezione di gestione sottoscritta dal fondo pensione negoziale o preesistente; la sua attuazione deve essere poi condizionata alla sussistenza di regolamenti UE, riguardanti il gestore, che la ammettano e la regolamentino, i cui riferimenti puntuali sono da riportare nella convenzione di gestione. Nella convenzione è, inoltre, opportuno ribadire che la delega non fa in ogni caso venire meno la responsabilità del delegante.

Il Presidente